Durante il lockdown, imposto nei primi mesi del 2020 dal Governo quale misura di contenimento del diffondersi di contagi da covid19, è emerso un rilevante problema legato al tema delle locazioni commerciali.
I piccoli imprenditori sono stati infatti costretti a tenere chiuse le proprie attività e, spesso, a causa dei mancati incassi non sono stati in grado di fronteggiare i costi degli affitti.
Delle recenti pronunce di vari tribunali italiani hanno cominciato a fare chiarezza sul punto, mentre nelle città sono sempre più numerosi i locali commerciali che rimangono vuoti a seguito delle chiusure delle attività più piccole.
Sul rischio di desertificazione dei centri storici e sul tema del mancato pagamento dei canoni di locazione durante il lockdown è recentemente intervenuto il Segretario Federale dell’UCI., Avv. Massimiliano Albanese, intervistato dalla Radio InBlu2000.
Riteniamo utile riproporre qui di seguito lo stralcio di un articolo ancora molto attuale, pubblicato a marzo 2020 sul sito web dello Studio Legale e Tributario LEXAMP, di cui l’Avv. Massimiliano Albanese è managing partner.
Le sentenze dei Tribunali di tutta la penisola, che a distanza di un anno stanno cominciando ad essere pubblicate, confermano la tesi descritta.
Si può legittimamente sospendere il pagamento dei canoni di locazione commerciale?
Uno dei principali quesiti è volto a conoscere quali strumenti la legge offra al conduttore che, in un rapporto di locazione non abitativa, veda la propria attività danneggiata da una situazione di forza maggiore, che di fatto azzeri i flussi di cassa, rendendo difficoltoso il pagamento del canone locativo. E’ possibile, in un caso del genere, sospendere tale pagamento per tutta la durata delle restrizioni dettate dal Governo?
Per rispondere a tale quesito, la prima norma da prendere in esame è sicuramente quella di cui all’art. 1256 del Codice Civile, il cui comma 2° recita: “Se l’impossibilità [di corrispondere il pagamento del canone, n.d.r.] è solo temporanea, il debitore [conduttore, n.d.r.], finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento”.
Detta disposizione disciplina gli effetti della temporanea impossibilità sopravvenuta della prestazione, consentendo al conduttore di sospendere il pagamento del canone senza che lo stesso possa essere costituito in mora.
Dunque, il pagamento dei canoni viene solo sospeso, senza estinzione del relativo obbligo. Il conduttore stesso dovrà, quindi, corrispondere l’intero importo dei canoni sospesi una volta cessata la causa che rendeva impossibile l’esecuzione della prestazione.
Ciò, tuttavia, vale solo da un punto di vista teorico, non essendo nota in giurisprudenza una casistica idonea a sostenere la tesi interpretativa sopra esposta, stante l’assoluta novità della situazione venutasi a creare a seguito della pandemia in corso. Ed infatti, l’applicabilità dell’art. 1256 c.c. al contratto di locazione commerciale non è del tutto pacifica.
La chiusura delle attività commerciali a seguito del lockdown costituisce sicuramente un caso di forza maggiore che, in maniera imprevedibile e indipendente dalla volontà delle parti, incide sulla concreta esecuzione del regolamento contrattuale. Nonostante ciò, non è agevole considerare tale situazione come un’oggettiva impossibilità delle prestazioni tipiche del locatore o del conduttore nell’ambito del contratto di locazione commerciale.
L’obbligazione principale del locatore è, infatti, la messa a disposizione di un’immobile idoneo all’uso convenuto in contratto. Per contro, il lockdown di per sé ha effetto sulla sola attività esercitata dal conduttore, ma non incide direttamente sulle modalità d’uso dell’immobile in cui tale attività si svolge. Non vi è, quindi, incidenza diretta sulla prestazione del locatore, la quale, oggettivamente, non potrebbe considerarsi impossibile.
Passando al punto di vista del conduttore, in termini di causalità, non è effettivamente assodato che la sospensione temporanea dell’attività determini necessariamente l’impossibilità sopravvenuta del pagamento del canone e delle spese accessorie.
Nondimeno, nel caso di specie, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione potrebbe affermarsi facendo leva sulla c.d. “causa in concreto” del contratto, intesa quale scopo pratico effettivamente perseguito dalle parti in relazione ai loro specifici interessi, così come regolati nel contratto stesso.
Siffatta ricostruzione concettuale della causa consente di aver riguardo ai motivi effettivi, e reciprocamente riconoscibili, che hanno indotto le parti a stipulare il contratto di locazione commerciale e, inoltre, agli scopi da esse effettivamente perseguiti.
In quest’ottica, conseguentemente, ove un fatto non prevedibile e non imputabile alla volontà delle parti renda non più perseguibili le finalità condivise o riconoscibili che hanno indotto le stesse parti a concludere il contratto, può ragionevolmente considerarsi integrata un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione, con conseguente applicazione dell’art. 1256 c.c.
A fronte del ricorso all’istituto dell’impossibilità temporanea per sospendere la prestazione, graverà comunque sul conduttore l’onere di dimostrare l’effettiva e oggettiva impossibilità in discorso.
Sotto tale profilo, dovrà quindi tenersi in debita considerazione la previsione dell’art. 65 del Decreto Legge 17 marzo 2020 n. 18, c.d. “Cura Italia”, con il quale viene riconosciuto, ai soggetti esercenti attività d’impresa per l’anno 2020, un credito d’imposta pari al 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe).
Pur condividendo ed apprezzando ogni iniziativa governativa volta a favorire la piccola impresa in un momento così critico per l’economia nazionale, è lecito domandarsi quanto un credito d’imposta possa agevolare, in concreto, il conduttore commerciale rimasto privo della liquidità necessaria per fare fronte al proprio canone di locazione.
Peraltro, una diversa disposizione dello stesso Decreto c.d. “Cura Italia” pare confermare la volontà del Legislatore di riconoscere, nel particolare stato d’emergenza in cui il Paese versa, la generale applicabilità di un principio già previsto dal nostro ordinamento. Infatti, all’art. 91 del predetto Decreto, rubricato “disposizioni in materia [di] ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento e di anticipazione del prezzo in materia di contratti pubblici”, è stata prevista l’aggiunta di un nuovo comma 6/bis all’art. 3 del D.L. 6/2020, secondo cui “il rispetto delle misure di contenimento […] è sempre valutat[o] ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
Viene quindi ad essere espressamente esclusa la responsabilità del debitore per i danni causati al creditore dalla mancata o ritardata esecuzione della prestazione (art. 1218 c.c.), sia in termini di danno emergente che di lucro cessante (art. 1223 c.c.), in perfetta armonia con la previsione di cui all’art. 1256 c.c. qui ampiamente richiamato.
Dunque, l’art. 91 del D.L. 18/2020 pare avvalorare la tesi qui sostenuta.
Ad ogni modo, va ribadito che la sospensione del pagamento non libera il conduttore dal proprio debito, che dovrà essere comunque onorato alla conclusione del periodo di crisi, essendo il pagamento dei canoni solo temporaneamente sospeso.
Si può risolvere il contratto di locazione? Il conduttore può recedere?
Un altro interessante quesito riguarda la possibilità che la situazione di lockdown giustifichi la risoluzione del contratto di locazione.
In linea teorica, la situazione emergenziale potrebbe consentire il ricorso al rimedio della risoluzione contrattuale per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, ai sensi dell’art. 1467 del Codice Civile.
Tuttavia, ad oggi il ricorso a tale rimedio non è agevole, stante il carattere transitorio delle misure emergenziali. Inoltre, sempre in forza della citata norma, il locatore contro cui è domandata la risoluzione può evitarla offrendo un’equa modifica delle condizioni di contratto.
Altro rimedio cui ricorrere è quello del recesso dal contratto. In tale ipotesi, lo scioglimento dal vincolo contrattuale avviene per effetto di una dichiarazione unilaterale, rivolta al locatore dal conduttore che versi in stato di difficoltà.
La possibilità di recedere è ammessa solo in presenza di determinati presupposti.
In primo luogo, tale facoltà può essere riconosciuta al conduttore da un’apposita clausola inserita nel contratto di locazione. In questo caso, il conduttore stesso avrà piena libertà di recedere, secondo la disciplina dettata nella clausola stessa.
Qualora, invece, il titolo contrattuale nulla dica al riguardo, dovrà trovare applicazione la normativa contenuta nell’art. 27 della Legge 27 luglio 1978 n. 392, recante la “Disciplina delle locazioni di immobili urbani”, la quale consente al conduttore di recedere dal contratto di locazione, con preavviso di sei mesi, purché la richiesta sia giustificata da gravi motivi.
Ciò detto, il ricorso a tale rimedio deve essere attentamente ponderato, posto che lo stesso determinerebbe lo scioglimento definitivo del vincolo contrattuale, lasciando comunque intatto l’obbligo di corrispondere il pagamento del canone, in misura piena, per ulteriori sei mesi.
Peraltro, il recesso del conduttore è subordinato alla sussistenza di gravi motivi, che la giurisprudenza identifica in quelle circostanze sopravvenute e imprevedibili, al di fuori del controllo del conduttore, che rendono non più sostenibile la prosecuzione della locazione.
Certamente, l’attuale pandemia integra gli estremi dei gravi motivi così come qualificati dalla giurisprudenza. Tuttavia, al fine di rendere valido il recesso, il conduttore dovrebbe altresì dimostrare che la chiusura forzata dell’attività sia di una gravità tale da rendere necessario lo scioglimento del contratto di locazione, avendo provocato effetti irreversibili sulla possibilità di proseguire l’attività d’impresa, una volta conclusa l’emergenza.
Alla luce di tali considerazioni, la risoluzione ed il recesso sembrano soluzioni non sempre consigliabili. In ogni caso, prima dell’adozione di tali rimedi è preferibile consultarsi con un avvocato esperto della materia, posto che l’adozione dell’una o dell’altra misura può rivelarsi opportuna, o meno, anche a seconda della valutazione di questioni specificamente connesse al caso concreto e, comunque, sempre alla luce della soluzione di problemi giuridici che, spesso, si rivelano molto complessi.
Cosa fare, dunque?
Si può concludere che la sospensione del pagamento del canone di locazione, come prospettata, appare in generale la soluzione più indicata per fare fronte alle esigenze dei piccoli imprenditori commerciali, sottoposti alla temporanea chiusura forzata delle loro attività.
Infatti, ove il conduttore si trovi temporaneamente impossibilitato a corrispondere il pagamento dei canoni di locazione, per effetto della sospensione della propria attività imposta dal lockdown, lo stesso ha fondato motivo di avvalersi della previsione di cui all’art. 1256 c.c.
Dovrà quindi formalizzare comunicazione in tal senso al locatore, in modo da evitare gli effetti sfavorevoli del ritardato pagamento del canone, quali la costituzione in mora e la risoluzione per inadempimento del contratto, ove prevista, con conseguente avvio di procedura di sfratto.
L’invio di una simile comunicazione al locatore può ragionevolmente garantire al conduttore il diritto di godere dell’immobile senza effettuare il pagamento del canone, per il solo periodo di sospensione dell’attività e per il breve ulteriore periodo necessario al recupero delle connesse perdite per mancati incassi.
È peraltro consigliabile che la comunicazione di voler beneficiare della sospensione venga formulata in modo chiaro e tecnicamente corretto, preferibilmente con l’ausilio di un avvocato, il quale dovrà scrupolosamente vagliare se la situazione globale del conduttore consenta un ragionevole ricorso a tale rimedio.
Ciò anche in considerazione della prevedibile resistenza della parte locatrice a concedere il beneficio in esame.
Va poi sottolineato che il conduttore potrebbe essere comunque considerato debitore delle somme di cui ha sospeso il pagamento, che dovrà quindi in qualche modo pagare al locatore, sebbene con ragionevoli dilazioni e successivamente al periodo di sospensione dell’attività.